Spegnere relazioni
Il caos è l’altro nome del continuo. Del continuo prima che ne emergano unità discrete, le quali, per essersi costituite come tali, rendono contemporaneamente riconoscibile il continuo negandolo con l’emergere da esso.
Se il caos è attualità di tutte le relazioni possibili fra le cose possibili – le unità discrete che emergono dal continuo coll’essere dette – allora il continuo è il dispiegamento sincronico e incessante (continuo…) di tutte le possibilità possibili di relazioni fra le cose. Al punto che la trama relazionale oscura la cosa stessa rendendola semplicemente nodo terminale di relazioni. O, ancora, si potrebbe osare di definire la cosa come una scelta finita di possibili relazioni che mettono capo a un nodo, definendolo.
E’ una forma accettabile per conservare, quantunque dicendola, la terribilità del continuo, mentre si cerca di addomesticarla esorcizzandola. La terribilità del continuo è nella sua negazione dell’unità discreta, cioè della cosa: per noi, cose fra le cose – cioè unità discrete che esistono in rapporto strutturale con altre unità discrete – accettare il continuo come tale significa negare ciò che siamo, negare la nostra emersione da quel continuo che ci voltiamo indietro a guardare quando ne siamo fuori.
Noi siamo sorti come unità discrete per aver vinto la terribilità del continuo. Domare il continuo significa spegnere relazioni. Le cose sorgono dallo spegnimento di relazioni, cioè dall’interruzione del continuo. Spegnere relazioni non significa spegnere tutte le relazioni che fanno capo a un nodo.
Significa spegnerne quanto basta per poter dominare quella regione del continuo facendovi emergere la cosa, l’unità discreta.
La forma di una cosa, intesa come il complesso di relazioni che manteniamo accese, è davvero costitutiva della cosa allora. Perché non viene introdotta da una regione esterna al continuo, ma emerge dal continuo medesimo. Le forme, così ottenute sono ciò che rimane della spontaneità originaria del continuo che lo rende e lo mantiene tale. Forma, insomma, è ciò che rimane dopo aver interrotto il continuo spegnendo relazioni.
Alla fine, la domanda vera è non cosa sono le forme, ma cosa è il continuo, a parte l’abisso di totalità sincronica di tutte le possibili attualità, che tende ad assorbire le unità discrete che ne emergono, perché le relazioni si possono spegnere sempre solo provvisoriamente.
Perché, in fondo, noi abbiamo relazione diretta con le cose, ma non col continuo.
Il continuo allora, non è che il noumeno totale, che si intravede al di là degli innumerevoli fenomeni locali che sono le cose, le unità discrete che da quello emergono.
Noumeno totalmente indifferente ai fenomeni che provvisoriamente vi si generano, talmente indifferente da essere inaccessibile alle cose che genera e poi divora, come un’innominabile divinità primordiale – Crono che divora i suoi figli e apeiron che nega ogni determinazione possibile.
Inaccessibile soprattutto a noi e al nostro disperato, inevitabile – e magnifico – agitarci sulla superficie della sua oceanica onnipresenza.