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Doch ist mir einst das Heilige, das am
Herzen mir Liegt, das Gedicht, gelungen,
willkommen dann, o Stille der Schattenwelt!
zufrieden bin ich, wenn auch mein Saitenspiel
mich nicht hinabgeleitet; einmal
lebt ich wie Götter, und mehr bedarfs nicht.
(Hölderlin, An die Parzen)

Istruzioni per il possesso (2/2)

Dunque macchina e vivente. Meccanismo e organismo. I Romantici – Schelling più disperatamente di Hegel – ne furono ossessionati. E non a torto.
Per quanto una venerabile tradizione abbia ripetuto che l’unità è uno degli attributi trascendentali dell’essere, ciò che si può sicuramente indicare come portatore di unità è l’artefatto e il vivente. È arduo vedere unità nell’aria e nell’acqua, nella pietra e nella sabbia – senza contorni definiti, infinitamente divisibili e infinitamente moltiplicabili. Unità esige complessità coerente, autosufficienza e completezza, esige un disegno, un’architettura – esige una forma definita: il vivente e l’artefatto meccanico – meccanico, cioè complesso e in grado di produrre movimento, cioè macchina, perché un artefatto semplice (un martello o una scodella) non è in grado di riprodurre la complessità funzionante della Totalità.
Fu immediato – e geniale – al sorgere dell’anima moderna, ipotizzare una mascherata identità tra vivente e macchina, complice la ragione di complessità funzionante che all’una e all’altra potevano essere ascritte come identico genere prossimo.
Il meccanismo, a differenza dell’organismo, è possibilità di costruire una complessità funzionante, la quale pertanto è in pieno possesso sapienziale di chi la progetta – la complessità funzionante del vivente è qualcosa che si trova, non si costruisce. Possedendo possiede il progetto – la forma – della macchina e ipotizzando una identità strutturale a causa della ragione di complessità funzionante tra macchina e vivente, possedere sapienzialmente il meccanismo è anche possedere sapienzialmente l’organismo.
Di più: il meccanismo ha una flessibilità ed espandibilità indefinite. Perché non immaginarlo capace di adeguare la complessità del tutto? Perché non immaginare una Macchina Totale così come Platone immaginò il kosmos come Animale Totale?
Ma se la Totalità è la Macchina del Tutto, perché rinunciare al suggerimento del Tentatore, il quale con un gesto ci mostra che possedere la forma del Tutto – le istruzioni per (ri)costruire la Totalità come complessità funzionante – significa anche poter manipolare il Tutto così come è possibile manipolare un meccanismo? Che ci mostra, oggi come allora, come sempre, il meccanico segreto per essere come Dio?
(Fine)

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